I pallidi ragazzi della via Emo-Tokio Hotel-, La stampa.it

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view post Posted on 29/12/2008, 17:45




29/12/2008 (7:39) - IL FENOMENO METROPOLITANO

Tanto nero e molti piercing: avanza una nuova tribù

GIUSEPPE CULICCHIA

TORINO

Emo. A un certo punto sono apparsi anche nelle strade delle nostre città, a Torino come a Milano, a Bologna oppure a Roma: Converse All Star o Vans ai piedi, jeans neri portati bassi e aderentissimi, cinture borchiate, camicie sancrate, cravatte sottili, capelli a seconda dei casi sparati o tagliati un po' a scodella ma sempre neri e provvisti della caratteristica frangia, e poi polsiere di spugna, altre borchie a ornare braccialetti di cuoio colorato, pochi tatuaggi sparsi per il corpo ma spesso un discreto numero di piercing, e gli occhi truccati di nero, sia le ragazze sia i ragazzi, come a rimarcare un certo spleen. Nell'immancabile iPod, la discografia appropriata. Che per i più va da band come 30 Seconds to Mars o Alkaline Trio passando per My Chemical Romance o Brand New, benché molti a dire il vero non possano fare a meno di scaricare tutto lo scaricabile dei teutonici Tokio Hotel: cosa che talvolta suscita lo sdegno di puristi e filologi, affezionati piuttosto a nomi che hanno fatto la storia del rock «alternativo», come per esempio gli Husker Du.

Già: perché il fenomeno Emo, che oggi come oggi coinvolge tanti adolescenti qui da noi come nel resto del mondo occidentale, affonda le sue radici nell'hardcore americano degli anni Ottanta, inteso qui va da sé come genere musicale anziché pornografico. Cosa che spiega l'uso di calzature e accessori popolari tra gli skater, tribù quest'ultima che nel corso del tempo ha finito per influenzare un po' tutti, patiti della techno e profeti dell'hip-hop, reduci del punk e fanatici dello straight-edge, oltre ai soliti e ubiqui modaioli. Sta di fatto che gli Emo sono stati i primi a riportare in auge codici e stili metropolitani finiti nell'oblio dopo l'enorme successo commerciale del rap e l'avvento di quella che in molti hanno chiamato «la generazione Grande Fratello», due cose che in un modo o nell'altro sono alla base dell'impressionante immagine di omologazione che si ricava entrando in una qualsiasi aula scolastica dalle Alpi al Lilibeo, o andando a zonzo il sabato pomeriggio in un qualunque centro commerciale. E' infatti probabilmente grazie agli odierni Emo se da qualche tempo a questa parte ci si imbatte di nuovo nella cresta colorata di un punk, con un inevitabile e straniante effetto di déja-vu che però a questo punto suscita anche una sorta di sollievo, come dire: beh, dagli stereotipi non se ne esce, ma almeno c'è chi ha deciso di sceglierne uno anacronistico, sottraendosi al famigerato schema tronista/velina/calciatore eccetera.

Ma in fondo, pur essendo almeno da noi e su questa scala una novità piuttosto recente, anche gli Emo non sono altro che la «terza ondata» di un fenomeno che come si è detto viene da lontano. Quando gli Husker Du nel 1984 pubblicarono l'album Zen Arcade, sottraendosi agli stilemi dell'hardcore e scrivendo canzoni capaci di farsi notare per un nuovo approccio nei confronti della composizione e dei testi, nessuno avrebbe immaginato che gli effetti della svolta musicale intrapresa dal gruppo originario del Minnesota si sarebbero riverberati sulle due sponde dell'Atlantico fino a un quarto di secolo di distanza. Ma fu proprio in quel periodo che per la prima volta venne adoperato il termine «Emo», per designare quelle band che pur arrivando dall'esperienza del punk più violento e seminale avevano optato per un cambio di rotta all'insegna della melodia e della complessità. Dieci anni più tardi, l'Emo cominciò più o meno a corrispondere all'Indie, sulla scorta dell'influenza esercitata su miriadi di gruppi dai Fugazi di Ian McKaye, uno che arrivava a sua volta dalla stagione hardcore vissuta con i Minor Threat e poi da una band passata alla storia dell'Emo come gli Embrace.

Quando nel 1994 i Sunny Day Real Estate pubblicarono l'album Diary con la Sub Pop (la stessa etichetta dei Nirvana di Kurt Cobain, che da parte sua doveva suicidarsi quello stesso anno), per l'Emo iniziò una seconda fase, contrassegnata dalla contaminazione con il grunge proveniente da Seattle. Da lì sarebbero arrivate esperienze come quelle dei Weezer o dei Jimmy Eat World, due gruppi che non possono mancare nell'iPod degli Emo che con gli amici si danno appuntamento il pomeriggio nei negozietti specializzati nella vendita degli accessori di cui sopra. Venne poi l'epoca del pop-punk di Green Day e Blink 182, che a un tratto parve fagocitare il fenomeno. Ma nel 2003 il successo dei Dashboard Confessional segnò l'inizio della terza ondata Emo, quella che arriva fino ai giorni nostri con (tra gli altri) i truccatissimi e phnoatissimi Tokyo Hotel.

Come sempre accade quando si parla di sottoculture giovanili, anche per gli Emo vale il credo di Emily la Stramba benché lei appartenga piuttosto alla tribù Goth: «Voi ridete di me perché sono diversa. io vi guardo e rido perche' siete tutti uguali», anche se forse ci sarebbe da discutere sul concetto di «diversità» all'epoca dei mezzi di comunicazione di massa e della globalizzazione. Poi, e si tratta di un altro classico, tra fan del genere ci si divide in fazioni e correnti, peggio che nella vecchia DC o nell'attuale Partito Democratico. Così, c'è sempre un Emo che si considera più Emo di tutti gli altri, perché lui certe cose non le ascolta e certe magliette non le porta. E' già successo ai nonni hippy e ai padri punk. Succederà ancora.
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Nel giornale c'è una foto di Bill.

FONTE: http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezion...39579girata.asp
 
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